Prima parte

Seconda parte

“Durante la mia vita terrena vissi come te, in quella città che ora è così piena di odio e di gelosia che ormai ha superato la misura. Voi fiorentini mi chiamavate Ciacco.” Così si presenta quest’anima dannata a Dante nel VI canto che sta percorrendo in compagnia di Virgilio l’inferno. Ciacco non è un personaggio storicamente identificabile, il suo nome è il sostantivo di “porco”, infatti troviamo Ciacco tra i golosi, ma è vero anche che questo nomignolo è  il diminutivo di Giacomo o di Jacopo. In realtà il nome Ciacco inteso come porco, viene utilizzato solo da Dante, non risulta fosse stato mai utilizzato prima. Forse questa persona era ancora viva quando Dante scrisse la Divina Commedia; si può presumere che facesse parte della generazione precedente a quella del poeta.

Qualche studioso lo ha identificato in Ciacco dell’ Anguillara, ma non si hanno riscontri sicuri. Dante ci racconta che si tratta di un banchiere che amava gli eccessi alimentari; in seguito era diventato quasi cieco, tanto da non riuscire più a riconoscere le monete che maneggiava. Questo personaggio pronuncerà la prima profezia su Firenze nell’Opera dantesca. Dante pone delle domande a Ciacco: vuole sapere che fine avrebbe fatto Firenze, quale sarebbe stato lo sviluppo futuro delle lotte che la dilaniavano e se ancora fosse presente qualche persona integerrimo e giusto nella città. Ciacco risponderà che le due fazioni principali della città sono i Bianchi e i Neri, e che si scontreranno in modo diretto e cruento. Al principio saranno i Bianchi a prevalere, cosi ai Neri non rimarrà che subire l’esilio, essere multati, vedere i loro beni confiscati e le loro case distrutte ed incendiate. Ma prima che siano trascorsi tre anni, grazie al subdolo intervento di papa Bonifacio VIII, le sorti della contesa cambieranno drasticamente.

Nonostante il papa si barcameni ambiguamente tra le due parti, viscidamente, senza svelare le sue intenzioni, appoggerà in fine i Neri che così potranno vendicarsi e perpetrare i loro abusi e le loro prepotenze nei confronti dei Bianchi sconfitti. Per ciò che concerne gli uomini giusti, forse ce ne sono rimasti due o tre, ma è come se non ci fossero. Nessuno infatti è  più disposto ad ascoltarli. La superbia dei nobili, l’invidia dei popolani, l’avidità dei borghesi hanno ormai preso il sopravvento. Così una bella e prosperosa città come Firenze, viene distrutta da odii, prevaricazioni, vendette e meschinità. Ormai i grandi personaggi che hanno reso grande Firenze non ci sono più.

Dante scopre poi, che  Farinata degli Uberti, il Tegghiaio, Jacopo Rusticucci, Arrigo Fifanti, Mosca dei Lamberti e altri, sono tutti relegati all’inferno fra le anime più nere, a causa per delle colpe che hanno commesso in vita.

Ma l’anima di Ciacco comincia a scomparire e Dante non ha modo di chiedere perché queste anime siano state dannate. Le ultime parole che rivolge Ciacco al sommo poeta, sono in realtà una preghiera, gli chiede di riportare il suo nome a Firenze cosicché non venga dimenticato. Poi, ricade nel fango melmoso immerso come un maiale insieme agli altri dannati.

Ma chi sono gli altri personaggi citati da Dante?

Farinata degli Uberti

Farinata degli Uberti nasce nel 1212 a Firenze. Appartiene a una famiglia Ghibellina tra le più antiche della città. Prenderà posto tra i dannati dell’inferno nel girone degli eretici. In vita, sotto il regime di Federico di Antiochia figlio dell’imperatore Federico II, svolgerà un ruolo importante nella cacciata dei Guelfi dalla città. Ma quando le sorti a Firenze si rovesceranno, saranno gli Uberti ad essere esiliati, trovando rifugio a Siena. Farinata fu protagonista della vittoria della battaglia di Montaperti del 4 settembre del 1260 e della Dieta di Empoli dopo la sconfitta fiorentina. Dimostrando un grande amore per la sua città, insorgerà contro la proposta dei deputati di Pisa e di Siena di radere al suolo Firenze. Morirà nel 1264 e verrà sepolto nella chiesa di Santa Reparata, dove successivamente sorgerà il Duomo di Firenze.

L’accusa di eresia lo raggiungerà una volta morto insieme alla moglie Adaleta. Nel 1283 i loro corpi verranno addirittura riesumati e portati in giudizio per essere condannati dall’ inquisitore francescano Salomone da Lucca che poi ne confiscò i beni. Alcuni studiosi sostengono che Farinata fosse molto vicino all’eresia catara nel reclamare una divisione tra il potere spirituale e quello temporale della Chiesa.

Il Tegghiaio Aldobrandi è stato un politico fiorentino, podestà di San Gimignano su mandato imperiale e podestà di Arezzo nel 1256. Anche lui partecipò alla battaglia di Montaperti come Guelfo. Sconsigliò apertamente di attaccare Siena, ma non fu ascoltato e la sua fazione venne inesorabilmente sconfitta. Viene tacciato di usura, ma è ricordato come un cavaliere di grande animo e di grande sentimento, oltre che guerriero impavido. Morì in esilio a Lucca nel 1262 per trovare poi posto nel girone di sodomiti.

Anche Jacopo Rusticucci fu un politico fiorentino. Nel 1254 fu procuratore del comune di Firenze e nel 1258 fu capitano del popolo ad Arezzo.  Al contrario del Tegghiaio, Jacopo viene definito come un cavaliere mediocre. Causa della sua rovina sarà la moglie, che lo indurrà a causa della sua austerità, alla pederastia. Secondo il Boccaccio l’atto di sodomia di cui fu accusato venne consumato con la stessa moglie… Morirà nel 1266.

Arrigo Fifanti (Oderico o Oddarrigo), è uno dei personaggi più noti della famiglia Fifanti. Pare avesse avuto un ruolo di primo piano nella congiura omicida contro Buondelmonte de’ Buondelmonti del 1216. Un cruento atto che contribuì alla divisione dei fiorentini tra Guelfi e Ghibellini. Arrigo venne invitato nel castello di Campi, dove Mazzingo de’ Tegrini offrì una festa per celebrare la sua elevazione alla dignità equestre. Un giocoliere per scherzo sottrasse durante il banchetto un piatto davanti al cavaliere Umberto degli Infangati e a Buondelmonte dei Buondelmonti che ne furono contrariati. Arrigo Fifanti, noto sobillatore, accusò Umberto della sparizione. Ne nacque un diverbio che si tramutò in una zuffa generale, in cui Buondelmonte ferì con un coltello Arrigo. Pochi giorni dopo venne radunato un gruppo di amici e parenti tra cui i Gangalandi, gli Uberti, i Lamberti, gli Amidei e i Fifanti per decidere se dare inizio a una faida o trattare onorevolmente l’offesa. Si stabilì di fare pace grazie a un matrimonio riparatore tra la figlia di Lambertuccio Amidei e il Buondelmonte, ma quest’ultimo ruppe il fidanzamento per sposare una Donati. Il giorno di Pasqua, nei pressi di Ponte vecchio, l’uomo venne ucciso per ritorsione dalla famiglia offesa. I Buondelmonti in seguito al fatto cercheranno appoggio e aiuto da Federico di Svevia schierandosi nella fazione Ghibellina e continuando la faida personale tramutandola in una politica. Arrigo partecipò negli anni seguenti accanitamente alla lotta tra le due fazioni fino a trovare la morte nel 1241.

L’ultimo citato è Mosca dei Lamberti, fu anche lui un politico e un condottiero fiorentino della fazione Ghibellina. Fu podestà  di Viterbo, di Todi e di Reggio Emilia e condottiero durante la guerra contro Siena. Lo troviamo all’inferno nella bolgia dei seminatori di discordie, orribilmente mutilato delle mani come punizione per aver convinto gli Amidei a uccidere Buondelmonte e contribuendo così ad accendere la faida tra Guelfi e Ghibellini.

Anche se non siamo sicuri della vera identità di Ciacco, riconosciamolo in Ciacco dell’Anguillara. Si tratta di un poeta fiorentino del XIII secolo. Nel canzoniere Vaticano, un manoscritto conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana che raccoglie le opere di poeti italiani del Duecento, si trovano due suoi scritti di carattere giullaresco, uno intitolato “Giema laziosa” , l’altro “Part’io mi cavalcava”.

Continua il viaggio di Dante nel mondo dell’aldilà…

Riccardo Massaro
Dante e il suo fantastico viaggio 2: Dante e i personaggi dell’Inferno.
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