Undicesima Parte ed ultima parte
Prosegue il viaggio del nostro amato poeta nel Paradiso in compagnia di Beatrice.
Avevamo lasciato Dante con Forese Donati in Purgatorio, parlando della sorella Piccarda che ormai era da tempo giunta tra i beati del Paradiso, quando ecco che Dante la incontra, scusandosi con lei per non averla riconosciuta subito.
Piccarda era una donna bella e virtuosa, aveva in lei qualcosa di soprannaturale, che la rendeva diversa da come la ricordava il poeta. Lei e le sue compagne erano relegate nel cielo e sembrava proprio che fossero felici dove erano e che non ambissero ad una posizione più elevata e più vicina a Dio. La grande donna fiorentina spiega allora a Dante che la prima legge del Paradiso è quella della carità. Questa le mette in condizioni di non desiderare più di quello che già hanno, così da non entrare in contrasto con Dio.
Dopo questa spiegazione Dante vede sopraggiungere un anima. Era quella di un uomo morto cinque anni prima, il successore di Carlo II D’Angiò Carlo Martello, che Dante aveva conosciuto in un suo soggiorno a Firenze un anno prima della sua morte e con cui aveva avuto degli incontri diplomatici che in seguito avevano fatto nascere tra di loro una sincera amicizia. L’anima si lamentava di aver vissuto troppo poco e non aveva potuto prevenire i molti mali di cui il mondo era afflitto, tra cui quelli di Firenze. Alla sua morte era stato succeduto il fratello Roberto, che però non era stato in grado di governare con ponderatezza, portando alla ribellione il suo popolo.
Dante a dispetto delle prime due tappe del suo viaggio dove parla ed incontra le più svariate anime, affronta il passaggio nel Paradiso affrontando temi come la filosofia, la religione e in parte la politica. In questo capitolo vengono nominati molti personaggi famosi dell’epoca, soprattutto reggenti, santi, papi, amministratori, ma anche personalità più antiche o della mitologia greca.
Pur non parlando esplicitamente di Firenze, la sua riflessione critica sulle cose terrene comprende inevitabilmente anche quelle sulla sua città, soprattutto quando parla di violenze, di frodi, di ladri, o di quelli che occupando posti nell’amministrazione pubblica affannandosi più nella ricerca del piacere sessuale, dell’ozio e dell’arricchimento personale che degli interessi della comunità.
Tra le tante riflessioni, Dante improvvisamente scorge una stella, questa cambia frequentemente la sua posizione. Capisce allora che si tratta di un’anima particolarmente splendente e che brilla come una gemma di grande valore. L’anima si muove benevola ed affettuosa verso Dante con un sorriso intenso che quasi sconvolge il poeta che ancora non di capisce di chi si tratti.
L’anima ringrazia Beatrice per aver portato Dante al suo cospetto e si palesa come suo trisavolo, il già citato all’inizio del nostro viaggio Cacciaguida, il padre di Alighiero che ormai da cento anni sta scontando nel Purgatorio il suo peccato di superbia. Così l’anima chiede a Dante di poter pregare per lui al fine di abbreviarne la pena. “Tu sei la fronda nuova dell’albero di cui io fui radice” gli dice, raccontandogli che alla sua epoca Firenze era estesa solo all’interno delle antiche mura di cui ora resta solamente l’abbazia.
Allora Firenze era in pace con tutti, era una città sobria, onesta e semplice, le sue donne non portavano monili né diademi, tantomeno gonne ricamate e cinture sgargianti. La nascita di una figliola non era una preoccupazione per il padre, perché sapeva che l’avrebbe sposata ad un’età giusta con una dote ragionevole. Non c’erano i grandi palazzi presenti oggi, sproporzionati ai bisogni dei suoi abitanti, tantomeno c’era la depravazione sessuale che ha fatto diminuire le nascite. Quando la città ha cominciato a godere di prosperità e di lusso è cominciata inevitabilmente la sua decadenza. Erano finiti i tempi in cui i cittadini ragguardevoli andava in giro vestito umilmente accompagnati da moglie senza un filo di trucco.
Ma di Cacciaguida e delle sue esternazioni abbiamo già parlato in precedenza, così di come fosse stato un valido combattente presso l’imperatore Corrado III che lo nominò cavaliere, e che morì combattendo la seconda crociata contro i maomettani. Per quello si trova ora tra i beati.
Dante continua dicendo che per comporre questa opera sacra sono state necessarie sia la scienza divina che l’esperienza terrena.
Una delle cose che colpisce, è un chiaro monito che si trova nelle pagine del Paradiso: la spada della giustizia di Dio non colpisce mai né troppo presto né troppo tardi, tranne che nell’opinione di chi desiderandola la vorrebbe affrettare o di chi temendola la vorrebbe rimandare. Il riferimento alla sua situazione in queste parole sembra piuttosto chiaro.
L’ostilità dei fiorentini lo terrà lontano dalla città dov’è nato e dove ha vissuto e in cui spera di fare il ritorno da poeta, anche se invecchiato e con i capelli bianchi per poter ricevere la meritata corona poetica sul fonte battesimale di San Giovanni, lo stesso dove aveva ricevuto quella fede che rende le anime gradite a Dio. Ma Dante non farà mai ritorno a Firenze.
Con questo ultimo capitolo finisce il nostro viaggio fantastico insieme a Dante.