Il Sommo poeta Dante Alighieri sposò Gemma Donati parente di Corso Donati facente parte dei Guelfi neri, avversari dei Guelfi bianchi guidati da Vieri de’ Cerchi al quale apparteneva invece il poeta. Questo matrimonio non portò ad alcun miglioramento nei rapporti con il suo avversario politico. Fu sempre avversato da Corso detto il “barone” per i suoi modi arroganti, ricambiandone l’avversione.
Il Corso si alleò con il papa Bonifacio VIII, entrando nelle sue grazie, tanto da venir salvato molte volte. Anche quando per poter consolidare la sua fazione rapì la sorella Piccarda dal convento in cui aveva preso i voti consacrandosi a Dio per darla al suo compare Rossellino della Tosa. Il Papa intervenne nominandolo Podestà di Pistoia per proteggerlo dalla Signoria e avvicinandolo ai signori della città i Cancellieri di parte nera.
Quando scaduta la nomina rientrò a Firenze volle, su consiglio del Papa, liberarsi una volta per tutte dell’ingombrante avversario e dei suoi sostenitori. Dante in quel tempo ricopriva la carica di Priore che lo metteva al riparo dalle mire di Corso. Durante un consiglio tenuto in San Pier Scheraggio, il Barone chiese la parola dicendo che il Santo Padre lo aveva incaricato di richiedere a Firenze l’invio di un cospicuo numero di cavalieri per aiutarlo in una guerra. Molti presenti presero la parola dicendo che Firenze non voleva inviare nessun cavaliere e proposero di mandargli in cambio una grossa somma di denaro affinché il Papa potesse assoldare altri cavalieri. La proposta venne messa a votazione e approvata. Rimaneva solamente da scegliere chi mandare con la risposta a Roma. La scelta cadde sul poeta il quale prima tentò di opporsi dicendo; “se vado io chi resta, se resto chi va?”. Alla fine accettò di andare in ambasceria presso il Papa. E questa fu la sua condanna.
Non appena lasciò la città verso Roma Corso iniziò a dire che Dante avrebbe tradito la fiducia accordatagli dai suoi concittadini. Qui entrò in scena il Podestà Cante de’ Gabrielli, anche lui facente parte della cospirazione, accusando Dante di malversazione, baratteria e di appartenenza alla fazione Ghibellina. Gli comminò una forte multa ed il bando dalla città per due anni. La notizia lo raggiunse mentre era ancora in cammino verso Roma. Offeso decise di non continuare l’ambasceria e iniziò un pellegrinaggio che lo portò in varie parti d’italia.
Il sogno ricorrente di Dante era di rientrare in Firenze per essere incoronato poeta nel suo amato “bel San Giovanni”. Tentò di rientrare, ma quello che gli chiedevano i suoi avversari era inaccettabile. Doveva pagare una forte multa, fare pubblica ammenda di quello di cui veniva accusato e attraversare la città su di un asino portando al collo un cartello con su scritto le imputazioni.
Egli si offese molto di ciò che gli veniva offerto, avrebbe pagato l’ammenda, ma di umiliarsi mai! La Signoria lo condannò a morte in caso di cattura nel territorio fiorentino, la confisca di tutti e beni e abbattimento delle sue case per “dannatio memoriae”.
Dante nel suo capolavoro la Divina Commedia si vendicò con i suoi nemici, mettendo Bonifacio VIII e Corso all’inferno, mentre salvò la di lui sorella Piccarda collocandola nel Paradiso benché per sposarsi aveva rinunciato alla vita in convento e ai voti. Il suo amico Forese Donati, poeta come lui, lo pose in Purgatorio memore dei bei giorni passati insieme.
Corso sbarazzatosi del suo parente/nemico, sempre in comunella con Bonifacio VIII, riuscì ad esiliare i Guelfi bianchi per divenire signore assoluto. Così nell’anno 1308 tentò il tutto per tutto, ma gli andò male. Fu sconfitto e catturato dai soldati della Signoria. La storia narra che volle scendere da cavallo per difendersi meglio ma un piede gli rimase infilato in una staffa facendolo cadere a terra, i soldati gli furono addosso e lo trafissero con le lance lasciandolo come morto. I frati della vicina badia di San Salvi lo raccolsero e lo portarono nella chiesa dove esalò l’ultimo respiro, mettendo fine alla sua sciagurata vita.