La Porta di Camaldoli è una presenza enigmatica già per come viene rappresentata nel dipinto di Fabio Borbottoni a lei dedicato. Era una porta e quindi era un punto di collegamento tra il dentro ed il fuori della grande cinta muraria, quella normalmente identificata come terza cerchia comunale, in breve la più ampia, quella che fu demolita per l’esecuzione del cosiddetto Piano Poggi ma che in qualche parte fu conservata.
Uno dei tratti conservati, quello che costeggia il Viale Vasco Pratolini (ma che i fiorentini continuano a chiamare Viale Ariosto), comprende questa strana struttura.
(NDR: Per chi è interessato ai quadri di Borbottoni segnalo due articoli interessanti: “Fabio Borbottoni, un passo indietro nel tempo: La città” e “Fabio Borbottoni, un passo indietro nel tempo: Le porte“.)
La stranezza è in primo luogo per il non avere niente a che vedere con gli altri elementi architettonici facenti parte della cerchia. Tutta le altre porte e le stesse mura impongono rispetto, come una costruzione nata per fini militari deve fare. Questa costruzione invece ha forme un po’ tozze con forte marcatura di linee curve, femminee.
A renderla oggi visivamente poco minacciosa contribuisce l’essere, da tempo, sede di un circolo ricreativo tipico del rione di San Frediano.
Fotografando oggi la ex Porta di Camaldoli da Via San Francesco di Paola si capisce bene la direttrice.
Eppure quella era una porta cittadina, anche se di categoria minore. Il nome richiama un convento di monaci camaldolesi che era subito al di fuori. Quando fu operato il grande intervento di abbattimento delle mura, di tracciatura dei viali e di apertura del varco per creare la spazio delle nascente Piazza Tasso, la porta di Camaldoli era murata da tempo. Non si capisce il motivo di questa antica messa fuori servizio, visto che quando la cinta era integra, sarebbe stata utile al traffico tra il dentro, cioè il rione, ed il fuori, cioè gli orti, le vigne e gli oliveti che si stendevano fino al Colle di Bellosguardo ed oltre.
Anche guardando un’antica mappa si vede che esisteva un preciso asse viario tra la Via di Camaldoli, la porta omonima e la Via San Francesco di Paola. Via Villani sarebbe sorta secoli più tardi. Forse la porta era stata murata perché poco difendibile proprio sul piano militare.
Tornando al dipinto di Fabio Borbottoni, realizzato prima degli interventi del Piano Poggi, per ciò che si vede non è chiaro se il passaggio è aperto oppure no. Quello che si vede chiaramente è che il tratto di mura è separato dalla sede stradale da un fossato. Ed è questo il secondo enigma o fantasma.
Quello che in questa veduta sembra un insignificante rigagnolo ha una storia molto interessante.
Intanto ha un nome: Fosso di San Rocco. Anticamente, come tutt’oggi, nasceva da una polla nei pressi del Poggio Imperiale. Scendeva più o meno lungo il percorso del Viale del Poggio e nell’attraversare la valletta oggi occupata dal Piazzale di Porta Romana si arricchiva delle acque ruscellanti dai colli tutt’attorno. Poi si indirizzava verso l’attuale Via Romana e si gettava in Arno in qualche punto a valle del Ponte Vecchio.
Quando si cominciarono a strutturare i quartieri sulle assi di Via Romana e Via Serragli il rigagnolo dava fastidio ed il suo corso fu spostato fino a correre all’esterno delle mura della cosiddetta terza cerchia comunale. Infine era condotto a gettarsi in Arno poco a valle del Torrino di Santa Rosa.
La presenza di questo corso d’acqua è ben documentata anche da molte vedute di Firenze, tutte quelle vedute che, dopo l’antesignana edizione de La Catena, inquadravano la città ripresa dal Colle di Monteoliveto.
Di questo corso d’acqua e della sua storia oggi rimane ben poco. Quasi tutto il percorso è tombato e ciò che resta visibile si riduce quella mortificante cloaca che vediamo esattamente nella posizione della confluenza rappresentata nei dipinti antichi.