Il 12 gennaio 1549 a Firenze moriva Matteo Cecchi, conosciuto in città per essere un gozzovigliatore, che trascurava la bellissima e giovane moglie, Prudenza da Trani, detta la “Greca” per la sua bellezza dai canoni classici. Prudenza, che aveva 26 anni, aveva un folto stuolo di ammiratori e, nonostante la sua giovane età, era già madre di cinque figli.
Era fatto risaputo che tra i due coniugi non vi fosse un rapporto idilliaco, Matteo spesso maltrattava la moglie quando questa lo rimproverava per aver gettato nella miseria la famiglia, a causa della sua condotta. Pare infatti che avesse sperperato un patrimonio in gioco e bagordi.
I vicini avevano assistito più di una volta a queste scaramucce tra coniugi e quando Matteo morì cominciarono a circolare voci che accennavano al fatto che non fosse morto di morte naturale, ma che fosse stato avvelenato dalla Greca, stanca della vita di stenti che Matteo faceva fare a lei e ai suoi bambini.
Questo tipo di dicerie si sa, si diffondono in modo incontrollato e ben presto arrivarono agli orecchi dei Signori Otto, che provvidero ad indagare su quanto fosse in realtà avvenuto, sia per dar soddisfazione all’opinione pubblica che per ragioni di giustizia.
Venne così scoperto che il Cecchi era ammalato da diversi giorni, ed ogni giorno le sue condizioni si aggravavano; i medici, che avevano subito definito grave la sua malattia, non seppero comunque stabilire quale questa fosse. Niente, in ogni modo, lasciava pensare che i sospetti a carico della moglie fossero fondati.
I Signori Otto stavano per archiviare la pratica, quando improvvisamente saltarono fuori delle circostanze che richiesero ulteriori indagini da parte dei magistrati. Un informatore segreto riferì ai Signori Otto che, un po’ di tempo prima che il Cecchi si ammalasse, un tal Pacifico, un “aromatario” di Ancona, aveva spedito “polvere di cantarella” (arsenico) a madonna Prudenza, che insistentemente gliene aveva fatta richiesta, “per medicare il capo dei bambini”.
Pacifico aveva scritto una lettera a Prudenza, ragguagliandola sul modo di utilizzare la polvere; la lettera venne trovata a casa della donna, che non aveva pensato a distruggerla. Inoltre, venne fuori che Prudenza, quando ancora era nubile, aveva soggiornato a lungo ad Ancona, dove pare avesse avuto una relazione con l’aromatario, fin quando, conosciuto Matteo Cecchi che si era innamorato di lei e la volle sposare, si trasferì a Firenze.
Tutti questi elementi fecero sì che la Greca venisse formalmente accusata del delitto e rinchiusa nelle carceri del Bargello. Gli Otto invitarono inoltre il Governatore di Ancona ad arrestare Pacifico, quale complice del delitto, e anche lui venne rinchiuso in carcere.
L’aromatario tuttavia riuscì a cavarsela; senza negare di aver spedito la polvere, sostenne di averlo fatto in perfetta buona fede, convinto che realmente Prudenza intendesse utilizzarla per curare i suoi bambini. Consegnò anche una uguale quantità di polvere rispetto a quella spedita ai magistrati, che la inviarono a Firenze per far valutare a dei periti se con quella dose era possibile uccidere una persona.
Ma non fu necessario scomodare i periti, poiché la Greca, messa alle strette, confessò l’omicidio. Aveva somministrato la polvere di cantarella per ben due volte al marito, mischiata a carne di pollo tritata.
Per darsi una giustificazione, disse di avergliela propinata solo dopo che i medici le avevano dichiarato che il marito non sarebbe più guarito e sarebbe andato incontro a morte certa, dopo atroci sofferenze. Si trattò insomma, nel racconto della donna, di un atto pietoso nei confronti dell’uomo, per risparmiargli inutili sofferenze.
Non dello stesso avviso furono gli Otto, che nel frattempo erano venuti a sapere anche di un uomo che, innamoratissimo della bella Prudenza, aveva promesso di sposarla non appena fosse riuscita a liberarsi dello scomodo marito.
Dopo queste nuove rivelazioni, la Greca cambiò approccio, ammettendo di avere ucciso il Cecchi perché stanca di sopportare le sue angherie e per salvare il salvabile del patrimonio di famiglia, a vantaggio delle sue piccole creature che avrebbero avuto sorte grama se lo snaturato padre avesse continuato a sperperare soldi.
Seppe dipingere di sé un ritratto davvero pietoso, aggiungendo che ormai era arrivata al punto di dover scegliere tra due strade, entrambe abominevoli: o prostituirsi per dar da mangiare ai suoi bambini, o disfarsi dell’uomo che era causa delle sue sciagure.
Il minore dei mali le era parso il secondo, e che era certa che anche Dio le avrebbe perdonato questo peccato, per cui anche gli uomini avrebbero dovuto farlo. I Signori Otto vennero turbati da queste argomentazioni, e c’era chi asseriva lo fossero ancor di più dalla bellezza della Greca. Fatto sta che non riuscivano a decidersi a pronunziare la sentenza, che per il delitto commesso, era di morte.
Anche la cittadinanza era divisa in due fazioni e pure un cardinale intervenne tentando di strappare al carnefice la testa della bella Greca. Si trattava del Cardinal Crescenzio di Ancona, che arrivò anche a scrivere una lettera a Cosimo I, implorando la grazia: “Sapendo che la sfortunata tiene cinque figliuoli tre di maschi e due di femmine che l’uno à pena può reggere l’altro et che il gastigo e morte sua portasse loro una perpetua macchia et una miseria e necessità troppo degna di commiserazione, non ho potuto avere tanto riguardo alla bruttezza del peccato di lei come giudice della coscienza mia che non mi sia lassato vincere dalla compassione che devo a essa come a comadre, et alli figliuoli come christiano et amico di quel sfortunato di loro padre”.
Cosimo I, che voleva mostrarsi severo con i delitti, non tenne conto della lettera del porporato. Saputo che il popolo rumoreggiava sul temporeggiare dei giudici, ordinò che il processo venisse concluso velocemente. Madonna Prudenza venne condannata a morte; in cuor suo la Greca si era convinta che sarebbe stata graziata, quasi perse la ragione sapendo che l’aspettava il patibolo.
Il 26 aprile 1549 la donna venne giustiziata su un palco eretto al canto di S. Apollinare, tra il Palazzo Pretorio e Via dell’Anguillara, mentre una folla si accalcava per assistere all’esecuzione.