Leopoldo II di Toscana nome completo: Leopoldo, Giovanni, Giuseppe, Francesco, Ferdinando, Carlo D’Asburgo Lorena. Nacque a Firenze nella residenza Granducale di Palazzo Pitti nel rione d’Oltrarno nell’anno 1797, morì in esilio a Roma nello Stato Pontificio nell’ottobre 1870.
Era il secondo genito del Granduca Ferdinando III di Toscana e di Luisa Maria Amelia di Borbone Napoli. Durante l’invasione napoleonica la famiglia si trasferì in svariati territori del Sacro Romano Impero, fino a stabilirsi definitivamente a Wurzburg, dove rimasero fino all’anno 1814, quando Napoleone abdicò andando in esilio. Potendo rientrare in Firenze per la politica del padre, che non epurò e fece vendette verso i collaborazionisti dei napoleonici.
Quando alla morte del Padre Ferdinando III Granduca ne prese il posto. Era di indole bonaria e di carattere mite. Parlava fiorentino essendo nato in Oltrarno, ed era ben visto dai concittadini. Gli avversari politici, gli appiopparono il soprannome di “broncio” per via del labbro inferiore sporgente che lo faceva sembrare perennemente imbronciato. Aveva i capelli così biondi che i fiorentini lo chiamavano affettuosamente “Canapone“, sembravano di stoppa!
I suoi sostenitori lo chiamavano “babbo”, dato che lui considerava affettuosamente figlioli i suoi sudditi . Mentre loro erano appellati “Codini” e sbeffeggiati dagli oppositori. Leopoldo adorava fare il bricolage con il legno, tanto che finite le sue incombenze nel pomeriggio, indossava una spolverina grigia usciva da Pitti e andava in via Maggio da un corniciaio, dove dava sfogo alla sua passione.
C’è un aneddoto riguardo a queste sue uscite clandestine. Un giorno mentre si recava alla bottega del corniciaio, venne avvicinato da una anziana popolana che lo fermò, non l’aveva riconosciuto anche perchè non l’aveva mai visto da vicino. Gli si rivolse chiedendogli se abitava in quel palazzo dal quale lo aveva visto uscire. Avuto la risposta affermativa gli chiese di chiedere al Granduca, se poteva liberare il suo figliolo arrestato ingiustamente, e che era l’unico sostegno che aveva, e senza di lui non aveva niente da mangiare, inoltre chiese allo sconosciuto di dire al suo padrone di non fare “berlicche berlocche” come al solito e si sbrigasse a liberare il suo figliolo.
Canapone promise alla popolana che avrebbe parlato con il Granduca, appena fosse rientrato in palazzo. Dopo qualche giorno la vecchia venne invitata a corte per parlare con Leopoldo. Arrivata venne fatta entrare e portata nella sala dove il Granduca riceveva il popolo per le suppliche. Dopo un po’ di tempo entrò nella sala l’uomo che lei aveva incontrato per strada. Dalla meraviglia di trovarsi davanti al Granduca in persona non riuscì a profferire parola. Canapone le fece cenno di avvicinarsi e le consegnò un sacchetto di monete, e disse le seguenti parole: Queste monete le serviranno per tirare avanti fino a quando suo figliolo tornerà libero. E la si ricordi che un fo “berlicche berlocche”!
Canapone aveva preso di mira un suo collaboratore, quando lo vedeva passeggiare per il giardino di Boboli, si affacciava a una finestra e gli tirava dei cornetti piccoli. Finchè un giorno l’altro alterato, si girò verso di lui e gli disse: Maestà ha finito di pettinarsi? Gli piaceva andare in carrozza per Firenze, a passeggio o a messa con la famiglia. Quando nel suo passeggio incontrava i popolani, c’era chi lo salutava togliendosi con deferenza il cappello, mentre altri gli urlavano: Figlio d’un cane!”. Alchè una domenica mattina, volle rispondere a chi lo offendeva e rivolto al primo genito Ferdinando gli disse: Quando senti il popolo gridare “figlio d’un cane! girati verso di lui, è un tuo fratello!
La sua indole bonaria e paterna, si manifestò durante l’alluvione del 1844 che colpì duramente la città di Firenze, partecipò di persona a portare i soccorsi ai suoi sudditi, aprì le porte di Palazzo Pitti per dare un tetto agli sfollati. L’anno dopo nel 1845 migliorò l’illuminazione della città, facendo installare i primi lampioni a gas, e per dimostrare ai suoi sudditi che con i nuovi lampioni si poteva leggere il giornale alla loro luce, il giorno dell’inaugurazione con il giornale sotto braccio si mise sotto ad un lampione, e alla sua accensione si mise a leggere tranquillamente.
Con la sconfitta dei Piemontesi, durante la prima Guerra d’Indipendenza, rientrò da Gaeta dove si era rifugiato, con la scorta delle truppe Austriache, e indossando la divisa da generale Asburgico. Con questa mossa disgraziata si inimicò i sudditi più fedeli. Ormai la frittata era fatta. Un venditore ambulante tale Giuseppe Lacheri conosciuto come: I’ Lachera, quando nel suo girovagare si trovava vicino al cinghiale del Tacca (da poco restaurato) in Mercato Nuovo, gridava verso Canapone: L’hanno ripulito, ma gli è sempre il solito porco!
Allo scoppio della Seconda Guerra di Indipendenza, dichiarò la neutralità della Toscana e non diede l’assenso alla guerra contro l’Austria, e al rifiuto di obbedienza dell’esercito si convinse ad abbandonare lo Stato. Con la sua famiglia e i pochi effetti personali su alcune carrozze, partì per l’esilio nello Stato Pontificio. Giunto alla Porta di San Pier Gattolino (Porta Romana) la guardia lo salutò con deferenza, mentre alcuni popolani li presenti gli gridarono: Addio babbo Leopoldo! Intimamente era convinto che anche quella volta sarebbe tornato in sella. Nella sua camera da letto, su di un tavolo aveva appoggiato un libro che stava leggendo, sicuro che avrebbe finito di leggere quando sarebbe tornato.
I suoi sostenitori rimasti in città non sapevano che pesci prendere, mentre gli insorti cantavano a mo’ di sfottò: I rami pendono, le foglie cadon giù, codini andate a letto il Babbo non torna più!
Leopoldo non rientrò mai più in Toscana, si rifugiò presso la Corte Viennese, e dopo aver abdicato visse in Boemia. Morì a Roma nel 1870 in via delle Tre Cannelle. Anche da morto fu sbeffeggiato dai suoi antichi sudditi. Negli anni ’60 del novecento un circo passando da Firenze, regalò al Piccolo Zoo delle Cascine un cammello a cui i fiorentini diedero il nome di Canapone.
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