Nelle aie dei casolari delle antiche campagne toscane e al centro delle piazze delle nostre città medievali si innalzavano i pozzi, semplici ma indispensabili strutture, spesso di forma circolare, dai quali si estraeva l’acqua per il fabbisogno giornaliero delle famiglie. Attaccati alle carrucole tramite catene o robuste corde, pendevano brocche o secchi di metallo, rame o legno che fungevano da contenitori per la raccolta del prezioso liquido. Talvolta accidentalmente la brocca o il secchio si staccavano dal gancio al quale erano legati e precipitavano in fondo al pozzo. Per emergenza era sempre presente un piccolo uncino di ferro legato ad una fune, con il quale si poteva recuperare il contenitore caduto sul fondale. Questa operazione di salvataggio riusciva agevolmente con le brocche, che avevano il manico rigido e quindi facilmente raggiungibile dal gancio dell’uncino, ma risultava invece assai ardua con i secchi, che avevano il manico pieghevole che, ripiegandosi, si andava ad accostare al bordo circolare. Ci voleva una certa dose di fortuna perché l’uncino riuscisse ad agganciare il manico del secchio che veniva così recuperato in superficie, ma nel caso contrario il contenitore andava irrimediabilmente perduto e allora si era soliti imprecare: “buonanotte al secchio”!
Questa frase viene comunemente usata quando non c’è più niente da fare per qualcosa, per il fallimento di un’azione o per l’impossibilità di completare un attività.
(da “ADAGI CON BRIO” di Franco Ciarleglio, Sarnus Editore)
Buonanotte al secchio!