Il traditore di Montaperti immortalato da Dante nella Divina Commedia.
Bocca degli Abati discende da una antica famiglia fiorentina, il cui capostipite Abate dell’Ildebrandino giunse a Firenze dalla Lombardia nel 1176. Abitarono nel Sesto di San Pier Scheraggio presso la chiesa di San Michele in Orto, sul Canto di San Martino. La loro ricchezza proveniva da beni immobili posseduti in Firenze (case e torri), castelli posseduti nel contado e dalla mercatura che esercitavano con successo. Si erano imparentati con famiglie importanti quali; Visdomini, Guittoni e alleati politicamente con i Tedaldini, Caponsacchi, Elisei, Giuochi, abitanti nello stesso Sesto. Si avvicinarono ai potenti Uberti nel tredicesimo secolo divenendo Ghibellini. Prestandosi ad ospitare nelle loro case, i Vicari degli Svevi ogni volta che giungevano a Firenze.
La fama di traditore, Bocca degli Abati, se l’è guadagnata per sempre, anche se prove certe del suo tradimento a Montaperti, non ci sono. Il Davidshon nella sua opera “Storia di Firenze”, racconta di Bocca degli Abati rappresentante di questa famiglia ghibellina (qualcuno dice che fossero Guelfi, passati fra le fila degli imperiali con il tradimento). Costui come altri Ghibellini presenti in Firenze, pagando una forte somma, vennero inseriti nelle file dei fiorentini, onde evitare che durante l’assenza per la battaglia contro Siena potessero prendere il potere. Durante il consiglio di guerra, uno degli anziani presenti; Tegghiaio Aldobrandi degli Adimari, prese la parola dicendo di non fidarsi di questi avversari paventando il loro tradimento, e sconsigliando di combattere contro Siena. Gli venne tolta la parola e multato, ma continuò a protestare finché venne zittito con la minaccia del taglio della testa.
Il trasferimento della taglia fiorentina verso il campo di battaglia, si svolse tranquillamente. Arrivati sul fiume Arbia, videro l’esercito nemico schierato per la battaglia. Il 4 settembre 1260 al grido di San Giorgio, i senesi attaccarono le schiere dei fiorentini. Nelle prime fasi dello scontro i Guelfi riuscirono a contenere i senesi, a contrattaccare e costringerli sulla difensiva. Fu in quel momento che l’Abati, si tolse di dosso le insegne guelfe, e avvicinandosi a Iacopo del Nacca de’ Pazzi con un colpo di spada gli tranciò di netto la mano che reggeva lo stendardo fiorentino. A quella vista i Guelfi sconvolti da quanto accaduto, sbandarono e vennero massacrati dai soldati del conte d’Arras, intervenuti nella battaglia lasciando la difesa del carroccio senese.
Rientrati in Firenze i Ghibellini vincitori, Bocca iniziò a collaborare con loro, fino alla definitiva sconfitta degli imperiali, con la morte di Manfredi nella battaglia di Benevento. Con il ritorno al potere dei Guelfi l’Abati venne esiliato, anche se non cerano prove certe del suo tradimento.
Morì in esilio nel milletrecento. Dante Alighieri nella Divina Commedia, l’incontra nel Canto dell’Inferno, nell’Antenora fra i traditori della Patria e della propria Parte politica, immerso nel ghiaccio con solamente la testa fuori. Il poeta involontariamente colpisce la testa di uno dei dannati. Il dannato chiede a Dante se è venuto a accrescere la sua punizione, per il suo tradimento nella battaglia di Montaperti. Dante chiede a lui di dirgli il suo nome al fine si sapere con chi parla. Ma Bocca tace, anche quando il poeta gli strappa una ciocca di capelli che lo fa urlare. A questo punto interviene un altro dannato Buoso da Duera, che ne rivela il nome; Bocca, cosa hai da urlare?
Anche gli altri componenti della famiglia si comportarono con violenza e tradimento. Si ritrovano a Campaldino nel 1289, con i Lamberti e gli Uberti, insieme a Guido Novello nelle fila dei Ghibellini. Anni prima nel 1258 con gli Uberti tentarono di impadronirsi del potere in Firenze, il popolo per ritorsione a questo tentativo, assalì e bruciò le loro case, costringendo molti di loro all’esilio. Come gli altri Magnati furono colpiti dagli “Ordinamenti di Giustizia” di Giano della Bella, riuscendo a salvarsi. Un loro famigliare un certo Neri, venne accusato di aver avvelenato i suoi avversari politici detenuti nel carcere delle “Stinche”. Il Villani nella sua “Cronica” annota nell’anno 1304 un incendio doloso e catastrofico per l’economia della città, per mano del Neri e dei suoi consorti. Questo fatto costò l’esilio a molti appartenenti alla famiglia Abati. Fu concesso di rimanere in città al ramo di Montelfi di Lamberto di Rustico Abati. Si mantennero in posizione politica defilata, senza mai raggiungere cariche importanti.