Firenze e Roma, il cordone ombelicale. Mi piace trovare punti in comune tra queste due favolose città…
Basilica di San Giovanni Battista dei fiorentini. Questa chiesa che lega Roma a Firenze, è in via Giulia, al centro dell’Urbe, vicino al Tevere, proprio alla fine di corso Vittorio.
Fu iniziata nel XVI secolo e completata nel XVIII. Via Giulia invece fu voluta da Giulio II Della Rovere, che cercò così di rivoluzionare l’urbanistica della zona. Questa via portava direttamente al Vaticano, parallela a via del Pellegrino, la strada più antica che portava i pellegrini nel medioevo alla basilica.
Il primo progetto fu di Donato Bramante per la “Chiesa Nazionale Fiorentina”, dedicata a San Giovanni Battista. La fabbrica di San Giovanni dei fiorentini lavorerà parallelamente e contemporaneamente a quella di San Pietro, tanto che alcune decorazioni sono palesi imitazioni della basilica maggiore. I più grandi artisti del periodo furono coinvolti in questo progetto: Jacopo Sansovino, Raffaello Sanzio, Antonio da Sangallo e Baldassarre Peruzzi. La chiesa era qui posizionata proprio perché vicina al fiume e questo simbolicamente riportava al battesimo del Battista. Vari architetti si avvicendarono per problemi relativi alla stabilità del della costruzione a causa del terreno composto dalle sabbie del vicino fiume. All’edificazione della chiesa intervennero anche Giacomo della Porta, Carlo Maderno, Pietro da Cortona, ma anche Francesco Borromini ed altri. Nella chiesa riposano famosi personaggi tra cui: Carlo Maderno, Francesco Borromini, e Onofrio del Grillo (quello del famoso film “Il marchese del Grillo” di Monicelli interpretato da Alberto Sordi) ed altri, tra cui Ludovico Cardi detto il Cigoli pittore, scultore e cavaliere di Malta poi traslato e portato a Firenze nella chiesa di Santi Michele e Gaetano di via de Tornabuoni.
Nella chiesa è conservato l’archivio storico dell’ Arciconfraternita dei fiorentini, che conserva documenti, progetti e spartiti che vanno dal XV secolo ad oggi. Tra i documenti, un verbale che riporta la cacciata dal sodalizio di Leonardo Da Vinci per il mancato pagamento della tassa di ingresso.
Filippo Neri fondò la Congregazione dell’oratorio, il santo fu chiamato per prendere il rettorato della chiesa su insistenza proprio del popolo fiorentino, desideroso di avere una figura carismatica come quella di Filippo. Ma Neri ritenendo questo ambiente troppo nobile, ritornò alla vecchia chiesa di San Girolamo della Carità sempre a Roma in rione Regola, in via Monserrato.
Fino dal XIV secolo molti fiorentini residenti a Roma, svolgevano le loro attività nella contrada dei Banchi di fronte a Ponte Elio. Erano mercanti e cambiavalute stanziati vicino al ponte che portava i pellegrini alla basilica di San Pietro e con i quali facevano affari. Questi fiorentini godevano dell’esenzione parziale di imposte e di gabelle.
Nel 1448 vi fu a Roma una terribile epidemia di peste e i fiorentini residenti istituirono la Confraternita della Pietà. I membri avevano il compito di assistere gli ammalati e di dare sepoltura alle vittime del morbo. Passato questo brutto periodo, continuarono comunque a riunirsi, scegliendo come loro sede la chiesa di Santa Lucia Vecchia nel rione Ponte, che poi cambiò nome in San Giovanni in Lucia, in onore del patrono di Firenze San Giovanni Battista. Qui rimasero fino al 1488 quando gli venne affidata la chiesa di San Pantaleone “iuxta flumen” già conosciuta nel XII secolo.
La confraternita ottenne dal pontefice il consenso di demolire l’antica chiesa per costruirne una nuova, quella appunto di San Giovanni dei fiorentini. La costruzione di questa chiesa venne appoggiata dai grandi papi toscani della famiglia De’ Medici, tra cui Leone X e Clemente VII. Fu proprio Leone X ad indire il concorso per la costruzione della nuova chiesa in via Giulia, vicino alla quale i fiorentini possedevano alcune case donate proprio da Giulio II prima della sua morte.
Arciconfraternita di San Giovanni decollato Arciconfraternita della Misericordia dei fiorentini 1488.
La Compagnia di Santa Maria della Croce al Tempio, detta Compagnia dei Neri, era nata a Firenze nel 1355. Dopo un secolo i fiorentini riproponevano a Roma la pratica dell’assistenza dei condannati a morte. Molte erano le confraternite laiche che si erano dedicate in passato alle sepolture, ma si occupavano esclusivamente dei propri membri, ed erano estranee all’azione della giustizia. Era impossibile per le confraternite laiche occuparsi di persone esterne ai propri gruppi a causa della Romana Fraternitas, l’associazione clericale impegnata nell’assistenza e nell’organizzazione dei funerali. Nel 1237 Gregorio IX vietò la formazione di associazioni autonome laiche per questo tipo di attività.
Nonostante questo le confraternite continuavano a dare assistenza per accompagnare i defunti, come succedeva a Bologna con il movimento dei “Disciplinati” o dei “Battuti”, che operavano oltre la loro Confraternita, come avveniva a Firenze con la Confraternite della Misericordia, che tutelava i malati e accompagnava i morti alla loro sepoltura.
A Roma i primi a rompere gli indugi per assistere le persone esterne alla loro cerchia, furono proprio i fiorentini del Sodalizio della Pietà nati nel 1456, quando operarono durante la sopracitata peste del 1448. Nel 1538 fu la Confraternita della Morte ad occuparsi dei poveri che non potevano pagarsi la propria sepoltura. Con una bolla di Giulio III del 1552 fu denominata Arciconfraternita dell’Orazione e Morte, questa associazione durò fino al 1896.
Si occupavano anche dell’assistenza dei condannati a morte dalla giustizia, ma l’impegno era di diversa natura. Alcuni fiorentini stabilitisi a Roma si dedicarono dunque ad aiutare i condannati a morte che non avevano aiuti spirituali e temporali; dunque cercavano con il loro aiuto di salvare l’anima dei condannati, tralasciando spesso e volentieri l’aspetto legato al corpo.
Vestiti con sacchi neri, con una corda che gli cingeva i fianchi e con la testa coperta da un cappuccio, cercavano a volte con rude coercizione fisica di fare ammettere le proprie colpe al condannato. Va spiegato un falso storico: non era il boia che indossava il cappuccio, bensì solo chi operava come volontario, questo perché non doveva essere riconosciuto ed evitare eventuali ringraziamenti o donazioni rischiando così di perdere quella purezza del servizio devozionale che non prevedeva ricompense o riconoscimenti. Al contrario il boia aveva sempre il viso scoperto, perché rappresentava la giustizia e doveva essere sempre ben riconoscibile, soprattutto durante l’esercizio delle sue funzioni.
Innocenzo VIII nel 1490 riconobbe con una bolla la confraternita e il conforto per i condannati a morte sotto la protezione del patrono di Firenze San Giovanni Battista. La sede era presso la chiesa di Santa Maria della Fossa, sotto il Campidoglio dove In seguito tra il 1538 è il 1588 fu costruita la chiesa di San Giovanni decollato.
Dal XVI secolo il tribunale del governatore, aumentò il suo potere giudiziario e molti furono i criminali giustiziati a morte sulle piazze. Il supplizio doveva essere esemplare e pubblico. Dunque la confraternita aveva superato abbondantemente i suoi limiti, ovvero il semplice seppellimento. Le interruzioni di servizio di questa Confraternita avvengono nei periodi rivoluzionari, quelli della prima Repubblica Romana nel 1798/99 e nel secondo periodo francese del 1810/14.
La Confraternita ricomponeva i corpi straziati dalla giustizia pontificia e provvedeva alla loro sepoltura. Ma l’esecuzione violenta di persone che non si erano confessate e che quindi non si erano pentite diventava un problema. Sorgeva un conflitto tra la giustizia, la società e la chiesa. Dunque il compito di questa comunità era quella di fare ammettere le colpe al condannato, anche se questi si rifiutava, o peggio se non era colpevole. Al primo posto per la Confraternita c’era sempre la salvezza dell’anima, e ciò andava raggiunto con ogni mezzo, lecito e non.
La Confraternita ebbe ancora più importanza e successo, proprio con l’affermazione del reato di eresia, quando necessitava prima del supplizio il pentimento. La riuscita di questa “missione”, procurava benefici al morituro ma anche al confessore. Il condannato veniva convinto dapprima con argomentazioni basate sui testi sacri, poi con il timore dell’inferno e della dannazione, fino ad arrivare a mezzi energici, a questo punto ritenuti necessari per salvare l’anima. L’azione avveniva spesso presso il carcere di Tor di Nona sita sul lungotevere, almeno fino alla metà del 1600, poi nel 1657 nelle carceri nuove di via Giulia. Una volta ottenuto il pentimento, il condannato con le mani legate dietro la schiena saliva su un carro affinché tutti lo vedessero e veniva portato al patibolo seguito dagli appartenenti alla Confraternita. Lo stesso Mastro Titta (Giovanni Bugatti), il boia di Roma che operava su tutto il territorio della chiesa, incontrò durante le sue esecuzioni questi adepti che presenziavano vicino a lui accompagnando fino all’ultimo il loro assistito.