Era la mattina del 15 Maggio 1896 quando Barsene Conti, una trecciaiola minuta di Peretola, prese in braccio il figlioletto e si distese sui binari del Tranvai a Brozzi. Quello che a prima vista può sembrare un gesto di autolesionismo fu, in realtà, l’atto che diede il via allo sciopero delle trecciaiole. Una protesta che, a tratti, fu anche molto violenta.
Col suo gesto Barsene fermò il trasporto verso Firenze di un carico di cappelli di paglia. Le vetture furono assalite e i cappelli incendiati. Barsene isso’ una bandiera tricolore e con due compagne percorse le strade incitando le trecciaiole alla rivolta. Simbolo delle manifestanti e donna molto tenace, Barsene fu soprannominata “La Baldissera”, dal nome del famoso generale Antonio Baldissera.
Le trecciaiole erano le donne che intrecciavano i fili di paglia preparati per fare le trecce da cucire insieme per realizzare cappelli, così richiesti da richiederne una produzione in quantità industriale. Verso la fine dell’Ottocento, i mutamenti dei metodi di produzione e alcuni anni di carestia portarono parte consistente dei lavoratori ad abbandonare i campi per cercare impiego nell’industria e nella manifattura. Questo fu anche per le donne: figlie e mogli di contadini e mezzadri si offrivano di “fare la treccia”, arrivando a ben 85.558 trecciaiole nella Provincia nel 1895. Circa un terzo aveva meno di 15 anni.
Ovviamente l’aumento del bacino di lavoratrici disponibili fece abbassare il livello delle paghe. A questo andò a sommarsi la crisi generale dell’industria della paglia fiorentina. Fino a pochi decenni prima il cappello di paglia di Firenze aveva dominato il mercato internazionale, ma in quegli anni si era trovato in difficoltà per la concorrenza dei cinesi.
L’ importazione dall’estremo oriente creava problemi, così come la concorrenza della manodopera a minor costo. La concorrenza poi spingeva a doversi inventare sempre qualcosa di nuovo: i “fattorini”, gli intermediari tra i padroni committenti e le trecciaiole, premevano per “trecce fantasia” e prodotti sempre più elaborati.
Quello che era un “lavoretto domestico”, qualcosa che poteva esser fatto a casa mentre si sfaccendava e si guardavano i bambini, o per strada, mentre si camminava e si chiacchierava, diventò un lavoro sempre di precisione, più faticoso e simile ai processi di produzione industriale. Si lavorava al chiuso tutto il giorno, spesso in locali poco illuminati e insalubri. Mentre le paghe continuavano ad abbassarsi: si arrivò a pagare 10-20 centesimi al giorno, salari talmente bassi che non permettevano nemmeno l’acquisto di mezzo chilo di pane. Una paga da fame nel vero senso della parola.
Ma organizzarsi in sciopero era per le donne difficilissimo perchè al timore del padrone si sommava spesso l’ostilità dei mariti e padri che non accettavano che la propria moglie o figlia scendesse in strada a protestare. Di fronte al peggiorare della propria condizione però si arrivò al punto di non ritorno.
Lo sciopero e i disordini durarono circa un mese e si allargarono su un vasto territorio che si può delimitare alle località di Prato, Fiesole, Impruneta, Carmignano, Poggio a Caiano. Allo sciopero si unirono le impagliatrici di fiaschi ad Empoli e le tabaccaie di Firenze. È questo il primo sciopero in Toscana di rivendicazione salariale del lavoro femminile.
Fra maggio e giugno del 1896 le scioperanti fecero blocchi stradali, incendiarono dei magazzini di cappelli e alcuni barrocci dei fattorini, vennero bloccati e saccheggiati i tram a vapore per Firenze. A Sesto dovettero intervenire i Carabinieri a cavallo mentre un corteo di donne e ragazzini sfondava le vetrine dei fabbricanti a sassate e chiamavano alla protesta gli operai della Ginori.
La forza pubblica fu costretta a intervenire più volte, con esiti alterni. Le lavoratrici incrociarono le braccia e si riunirono nelle piazze e nelle strade chiedendo pane, diritti e un salario adeguato. La piana da Pistoia a Firenze, fu sconvolta dal tumulto delle donne in sciopero. Vi furono conflitti con le forze dell’ordine, commissioni di inchiesta, dibattiti parlamentari e articoli sulle colonne dei principali periodici del tempo.
Le scioperanti vennero condannate da 7 a 42 giorni di reclusione.
Ma Barsene “la Baldissera” era stata il simbolo della rivolta, la “Caporione”, come la chiamavano i giornali: fu condannata a più di un anno di reclusione. E questo la segnò per sempre.
Capirete.. a fine ‘800, una donna che era stata in galera, etichettata come delinquente, “una poco di buono”. A causa della condanna il marito la lasciò.
Dopo avere scontato la pena, e tornata a Peretola, riuscì a riconciliarsi col marito, ma a voltarle le spalle fu la gente del posto, proprio coloro che avrebbero dovuto esserle più grati. Fu costretta a trasferirsi a Firenze in zona Santa Croce, qui si stabilì e mori in anziana età. I risultati di tanti giorni di sciopero e di tanti sacrifici furono, alla fine, modestissimi, ma il segno lasciato da Barsene e le sue compagne fu, comunque, indelebile.