L’Arte dei Beccai è stata una fra le più importanti fra le Minori e la più ricca. Se non altro la più rissosa, dando sempre scandalo per il comportamento dei suoi associati, pronti sempre a venire alle mani fra di loro e con i compratori. Il più famoso fra i suoi iscritti è stato il beccaio Dino di Giovanni detto “Pecora” rissoso, che malgrado il suo carattere per ben due volte in anni diversi, fu eletto “Priore” per breve tempo. Suo avversario politico fu Giano della Bella divenuto famoso per avere emanato gli “Ordinamenti di Giustizia quando divenne a sua volta “Priore”.
L’insegna della Corporazione era rappresentata da un montone nero rampante (chiamato anche “becco”) in campo giallo. Il Patrono era San Pietro Apostolo e si trovava e si trova ancora in una edicola presso la chiesa museo di Orsanmichele, forse scolpita da Brunelleschi o Donatello, sulla facciata si trova ancora la rappresentazione dell’insegna, fatta dai Della Robbia. La sede si trovava in un palazzo situato fra via Orsanmichele e vicolo del Ferro. Oggi è diventata sede dell’Accademia del Disegno.
La Corporazione era condotta da sei Consoli e stabilmente da venticinque associati, tenuti a rinnovare annualmente il giuramento verso l’Arte. Gli appartenenti trattavano l’acquisto, la macellazione e la vendita di carni bovine, ovine, suine. Vi erano iscritti anche i portatori di carne (i facchini), mercanti di bestiame, gli osti e i tavernai, pollaioli e pescivendoli. La carne consumata dai fiorentini, era la Chianina, di razza antichissima si dice fosse allevata dagli Etruschi. Veniva lessata o arrostita per il consumo giornaliero. Nei giorni di magro veniva sostituita da pesci e verdure. Il consumo delle carni di vari tipi era tipica delle famiglie abbienti, il cui consumo smodato portava alla “gotta” malattia che colpiva i Magnati. Il popolo poteva mangiarla poche volte specialmente per le occasioni speciali, e sostituita nei giorni normali da abbondanza verdure e formaggi.
Per l’attività di macellazione, vendita, e il consumo della carne, i Beccai erano sorvegliati dagli Ufficiali della Grascia, i quali erogavano salate sanzioni per la non osservanza delle regole imposte dal Comune e dallo Statuto dell’Arte. Questi erano addetti alla sorveglianza sull’igiene e la vendita degli alimenti destinati al consumo umano, il giusto prezzo praticato nel commercio al minuto, che le bestie macellate giungessero da mattatoi autorizzati onde evitare lo smercio di carne di animali morti per altre cause. Inoltre la vendita di specie diverse doveva avvenire separatamente, come la carne di maschi e femmine. Infine erano obbligati al controllo mensile dei pesi e delle bilance, presso il Comune che gli imprimeva un bollo in piombo. Gli strumenti venivano confiscati e distrutti qualora ne fossero stati sprovvisti.
Lo Statuto dall’anno del 1346, obbligava i tagliatori e gli scorticatori delle bestie, a rinnovare nel mese di gennaio di ogni anno il giuramento ai Consoli, per poter meglio sorvegliare il loro mestiere.
I Beccai, avevano le loro botteghe in Mercato Vecchio dove si trovava la Beccheria (il macello pubblico) ed in quello Nuovo. Oltre la vendita, qualcuno praticava l’uccisione e il taglio degli animali davanti alla propria bottega fra i passanti che si trovavano li per fare acquisti. Essendo la macellazione molto pericolosa, spesso succedevano incidenti, dovuti a colpi di mannaia dati maldestramente. Anche gli scarti della macellazione, rimanevano sulla pubblica via in quanto non esisteva un posto dedicato allo smaltimento. Nella stagione calda, il puzzo della carne marcia abbandonata sulla pubblica via era insopportabile, era un veicolo di infezione, che portava a gravi malattie. Una disposizione del Comune, imponeva di poter, in tempo di carestia di far entrare in città qualsiasi tipo di carne proveniente da altri luoghi, senza pagare gabella.
Il mercato dei buoi dal 1261 si svolgeva sulla riva dell’Arno in prossima del ponte Rubaconte (l’odierno ponte alle Grazie), vicino alla porta dei Buoi. Alla chiesa di Santa Croce presso l’orto dei frati minori c’era il foro boaro, dove prima e dopo la festa del Patrono San Giovanni Battista, si teneva il mercato dei cavalli, muli, ed asini.
I tavernai che facevano parte della Corporazione avevano un loro regolamento. Potevano dar da mangiare, sotto la stretta sorveglianza dalla Signoria. Era severamente vietato servire cibi piccanti, o intingoli molto saporiti invitanti al bere smodato, tali da sfociare in risse per ubriachezza. Non potevano dare cibo e mescere vino, dopo il suono della campana al tramonto sotto pene severissime. Era vietato dare da mangiare alle baldracche e ai loro ruffiani per il decoro, in quanto il bere smodato ed il consumo del cibo piccante le portava ad esibizioni di pudenda e turpiloquio.
I pesciaioli vendevano; Ranocchi, pesci d’Arno, pesciolini da cucinare fritti, e il pesce salato. Essendo il fiume molto pescoso, i pescatori calavano le reti e le ritiravano piene di pesci conservate nell’acqua dentro delle zucche. I pesci di mare provenivano dal Tirreno, e portati via fiume da Pisa fino a Firenze. In inverno veniva il pescato dall’Adriatico, mentre le anguille provenivano dal lago di Bolsena. La pescheria era situata all’incirca al centro del Mercato Vecchio.
I pollaioli vendevano tutti i tipi di volatili, animali da cortile e selvatici; Polli, conigli, galline, anatre, uccellini (per disposizione della signoria dovevano essere uccisi con le frecce, la caccia con i lacci era severamente proibita), oche, paperi, pavoni, caprioli, volpi, lepri, cinghiali. Mentre le gru erano cacciate con il falcone e riservate per i palati più esigenti. Svolgevano anche la vendita dei volatili vivi, e commerciavano anche falchi e sparvieri per la caccia.
Nell’anno 1346 la Signoria, proibì ai Beccai di macellare in Mercato Vecchio, preoccupati per la salute pubblica, anche perché i cascami della lavorazione della carne rimanevano per le vie, e impose loro di trasferire tutte le attività su il Ponte Vecchio, dove potevano gettare nel fiume gli scarti della lavorazione. Quando Cosimo I° de’ Medici, divenne Granduca, fece costruire dal Vasari, un passaggio sopraelevato da Palazzo Vecchio, arrivava passando sopra ponte Vecchio fino alla dimora di Palazzo Pitti in Oltrarno. Ferdinando I°, stanco di sentire lo sgradevole odore provocato dalla macellazione delle bestie, ordinò ai Beccai di lasciare il ponte e di tornare in Mercato Vecchio. Al loro posto di installarono gli orafi, con i loro laboratori e le botteghe.
Negli anni novanta del secolo scorso, i commercianti macellai e orafi, tramite le loro associazioni, firmarono una simbolica pace. I rappresentanti delle due attività, si incontrarono sul Ponte Vecchio, con la partecipazione delle autorità cittadine e del Corteo della Repubblica Fiorentina. Alla sommità del ponte si incontrarono i Beccai e gli Orafi, i quali per tramite del Proconsolo, restituirono simbolicamente una vecchia chiave delle porte del ponte.
Una grave malattia nell’anno 2001 esplose fra i bovini, conosciuta come Encefalopatia Spongiforme, nota in Italia come “mucca pazza”. Questa pericolosa infezione provocata da farine di carne di animali morti, e usata nell’allevamento dei bovini, partì da un allevamento in Gran Bretagna, spandendosi in breve tempo agli allevamenti europei. I veterinari dell’Unione Europea vietarono la vendita ed il consumo della carne vaccina disossata, decretando la morte della famosa “bistecca alla fiorentina“. Alcuni macellai di Firenze, con spirito goliardico, fecero un funerale in memoria di quella leccornia. Il Comitato Veterinario Europeo, nell’anno 2005, mise fine al bando contro il consumo della carne bovina, riesumando così la “fiorentina”. I macellai fiorentini decisero di fare una grande festa per la fine dell’assurdo divieto, con grigliate per tutti i cittadini. La festa si svolse nella piazza in cui, tanti anni prima si trovavano le botteghe dei beccai. Mercato Vecchio. Oggi piazza della Repubblica.
Nel Corteo della Repubblica Fiorentina, fra le insegne delle ventuno Arti che sfilano, c’è la bandiera dell’Arte dei Beccai portata un gonfaloniere indossante un giubbone giallo bordato di oro, con maniche trinciate di nero, scudetto con l’emblema dell’Arte, berretto giallo bordato di nero con piume, cinturone al fianco con spada a gabbia, calzamaglia gialla, scarpe marroni a piè d’orso, e la bandiera con il “becco nero” rampante in campo giallo/oro.