Una delle attività scomparse a fine degli anni Sessanta, è quella dei carbonai. I carbonai vendevano sia carbone che legna da ardere, in tempi in cui il riscaldamento domestico era affidato ai caminetti e alle stufe e solo in minima parte ai termosifoni.
Le rivendite di legna e carbone erano antri oscuri, varcare la soglia di quei magazzini impregnati di polvere nera era un po’ come fare un immaginario viaggio nelle viscere della terra, un po’ come immergersi nella Commedia dantesca, entrare nella “Città dolente”, ovviamente solo per il colore cupo dell’ambiente.
All’interno, vi erano appositi scomparti in cui venivano ammucchiati i vari tipi di carbone. C’era la “brace”, ricavata da arbusti del sottobosco, che veniva utilizzata per avviare i fornelli a carbone e gli scaldini, c’era il carbone ricavato da legno di quercia, castagno, faggio etc. ed il “carbon coke”, un residuo del carbon fossile che veniva distillato a secco per la produzione del gas di città, che serviva per le stufe e per le caldaie dei rari impianti di riscaldamento. La legna veniva solitamente accatastata sul fondo della bottega, già tagliata in pezzi a misura per l’uso domestico.
In moltissime abitazioni era presente l’impianto del gas, ma ben poche erano quelle che potevano vantare un impianto di riscaldamento; nella stragrande maggioranza delle case, si potevano trovare la cucina economica, alimentata da legna.
Venne inventata in Inghilterra nella prima metà dell’Ottocento, e venne chiamata così perché era provvista di moltissimi accessori, che ne consentivano l’uso per diverse attività domestiche, quali cucinare e al contempo riscaldare la casa. Di solito ha uno sportellino nel quale si brucia la legna, al di sotto del quale c’è un cassettino estraibile che raccoglie la cenere che si forma nella combustione. Accanto c’è un altro sportello che funge da forno, e ancora un altro vano per tenere in caldo le vivande. Il piano superiore, una piastra in ghisa, ha la stessa funzione dei nostri fornelli, vi si appoggiano le pentole e si cuociono i cibi direttamente sul fuoco. Ci sono dei cerchi di ghisa asportabili, di diverse misure, che permettono di avere un fuoco più vivace o più contenuto, proprio come i nostri fornelli. Sulla piastra si trova anche un contenitore con coperchio nel quale viene messa l’acqua da riscaldare.
Ricordo che i miei nonni ne avevano una, e che io mi incantavo a guardarla, affascinata dallo scoppiettare della legna che veniva inserita nello sportello, e ricordo la nonna che con un’asta di ferro uncinata metteva o toglieva i cerchi dalla piastra per regolare il fuoco… ricordi d’infanzia!
E un altro ricordo legato alla cucina economica erano i ditali da sarta riempiti di farina di castagne, che veniva messa a cuocere nel forno… un piccolo innocuo dolcetto che sprigionava un profumo delizioso.
Un altro utilizzo del carbone era quello per gli scaldini, i trabiccoli ed i “preti”, che venivano messi sotto le coperte nelle fredde notti invernali per rendere il letto caldo ed accogliente.
Il carbonaio portava il carbone e la legna a casa delle persone: aveva un carretto, su cui caricava dei cesti con la legna e sacchi pieni di carbone e faceva il giro della sua zona, rifornendo le famiglie di questi beni, all’epoca preziosi ed indispensabili.
Mi fa piacere Gabriella di avertelo fatto tornare a mente, ecco questo era un uso che non conoscevo!
A proposito della cucina economica, mi ricordo che sul tubo davanti al contenitore con coperchio per l’acqua calda c’era ad una certa altezza, spostabile, un tondo di ferro verniciato con dei ferri a raggiera che messi in appositi spazi per non farli muovere si potevano all’occorrenza alzare e metterci sopra dei panni umidi ad asciugare. Se non c’era niente da asciugare i ferri rimanevano in verticale lungo il tubo senza dare noia. Ero molto piccola, ma la cucina economica me la ricordo bene, fu un attrezzo utilissimo, presente in quasi tutte le famiglie degli anni ’50.
È vero, mi hai fatto tornare in mente che, quando da piccoli si andava a funghi con tutta la famiglia, si preparavano dei “nastri” di funghi tagliati a pezzi, che poi si appendevano alle aste della cucina economica a seccare!
Anche a me sono ritornati alla mente dei bei ricordi! Non mi piaceva mangiare carne e per invogliarmi la mamma metteva dei bocconi sul forchettone e me li faceva cuocere sulla brace… Nelle giornate fredde, quando non ci si riusciva a scaldare, la mamma mi apriva il forno, ci metteva un cencio all’imboccatura e mi faceva appoggiare i piedini gelati. La mattina si alzava presto e accendeva per farmi trovare l’acqua calda con la quale mi lavavo per andare a scuola. Tanti disagi vero, ma si stava meglio quando si stava peggio…
Un ricordo sul veggiolo (scaldino) e il trabiccolo. Dove abitavano i miei nonni, al piano terra, viveva una famiglia con un figlio maschio. Questo ragazzo era innamorato dei pompieri, e andava dicendo che da grande lo sarebbe diventato anche lui. La mamma, prima di mandarlo a dormire, gli metteva nel lettino il trabiccolo con lo scaldino, per riscaldargli il letto. Una sera nell’entrare sotto le coperte, inavvertitamente fece cadere lo scaldino. I lenzuola presero fuoco. Il ragazzo con sangue freddo, fece la pipi sul fuoco spengendolo. Da allora si guadagno’ il nome di pompiere, quello che ha fatto una volta diventato adulto.