Annalena nacque nel 1417 da Galeotto Malatesta, Signore di Rimini, e dalla Contessa Orsini, che morì nel darla alla luce.
Il padre, a seguito di ferite riportate in battaglia, morì pochi anni dopo.
Annalena, rimasta orfana, venne adottata – con tutto il suo immenso patrimonio – da Cosimo il Vecchio e Contessina dei Bardi, che la accolsero come una figlia e le diedero la migliore istruzione ed educazione possibile.
Annalena era una fanciulla bellissima, che si innamorò, ricambiata, del capitano di ventura Baldo di Piero Bruni da Anghiari (detto per brevità Baldaccio d’Anghiari), con cui si sposò nel 1439 con una solenne cerimonia nella Basilica di San Lorenzo.
Quale dote, Cosimo dette ad Annalena il Palazzo di Via Romana, dove i due innamorati andarono a vivere.
Baldaccio conquistò l’ammirazione di Cosimo e di tutta la corte medicea combattendo per la Signoria di Firenze nella battaglia di Anghiari nel 1440, tanto che Cosimo, per dimostrargli la sua riconoscenza, trasformò il Palazzo di Annalena in una delle più belle case fiorentine, ornandola con affreschi, dipinti e magnifici arredi, tra cui alcune opere di Filippo Lippi e del Beato Angelico che oggi sono custodite agli Uffizi e nel museo di San Marco.
La coppia ebbe un figlio, Guido Antonio. Dopo qualche anno di felice matrimonio, la superba bellezza di Annalena attirò le attenzioni di Bartolomeo Orlandini il quale, non corrisposto, in preda ad una invidia resa feroce dal desiderio morboso non ricambiato, ordinò l’assassinio in Palazzo Vecchio di Baldaccio di Anghiari, con la complicità di Cosimo de’ Medici che era preoccupato dalla popolarità che Baldaccio stava raccogliendo in città ed anche dal fatto che questi si era posto a servizio di una persona non ben vista dalla Signoria.
Dopo questo terribile dramma che le sconvolse la vita, Annalena perse anche il figlio che, nonostante il temperamento fiero e vivace come quello del padre, nel 1450 si ammalò di “pestifero male” e morì; Annalena trovò la sua unica consolazione nella preghiera, diventò Terziaria Domenicana e trasformò la sua casa in un convento. A nulla valsero i sinceri e affettuosi tentativi del fratello Ruberto di consolare e convincere Annalena a risposarsi. Lei già prima della perdita del bambino, e adesso più che mai, aveva deciso di abbandonare il mondo secolare e dedicarsi completamente alla vita religiosa fondando un istituto.
La cosa non fu per niente facile. Il Comune aveva confiscato i beni del marito e a Ruberto occorsero cinque anni e l’aiuto di Cosimo per far avere ad Annalena una casa nel popolo di San Felice in Piazza.
I fiorentini erano dalla sua parte, arrabbiati per l’assassinio di Baldaccio, e in seguito riuscì a recuperare i beni del marito, tra cui la casa che sarebbe divenuta il primo nucleo del Monastero, al quale poi si aggiunsero altre abitazioni.
La fondazione ufficiale del Monastero avvenne nel 1454, con il trasferimento di Annalena con dodici nobili compagne vestite dell’abito di terziarie domenicane. Erano stati necessari gli interventi di quattro papi (Eugenio IV, Niccolò V, Callisto III e, in seguito, Pio II) e di S. Antonino, Arcivescovo di Firenze.
Quest’ultimo placò l’ira dei Monaci Camaldolensi, padroni della vicina Parrocchia di S. Felice in Piazza, che non vedevano di buon occhio il sorgere di una attigua concorrenza.
Tanto più che Callisto III aveva concesso al nuovo Monastero la facoltà di erigere nella propria Casa un pubblico Oratorio, di celebrarvi Messa, e divini Ufizi, e l’uso delle campane; dichiarando in quella Bolla S. Antonino, esecutore indipendente ed immediato a fare tutto ciò “che dalla divota Donna si era dimandato”.
Annalena, pur avendo avuto il beneplacito per la creazione di due nuovi conventi, onde evitare altre difficoltà più o meno burocratiche, preferì ampliare il primo. Acquistò allo scopo diverse case in Via Romana. Acquistò anche i terreni circostanti per dare alle sorelle un giardino. Nel 1474 costruirà la nuova chiesa, che sarà consacrata a S. Stefano e S. Vincenzo Ferrer l’anno seguente.
Alla sua morte, avvenuta nel 1491, il convento prenderà il suo nome e darà alloggio a giovani vedove.
Anche Giovanni dalle Bande Nere venne ospitato nel Convento di Annalena, travestito da donna per scampare a Lorenzo che, per motivi di rivalità politica, intendeva farlo uccidere.
Fino al 1808 il convento è sotto l’Ordine di San Vincenzo di Annalena; poi le leggi napoleoniche sopprimono l’Ordine che contava 107 religiosi.
Nel 1820 Carolina Bonaparte (sorella di Napoleone) e suo marito, il Generale francese Mc Donald, lo acquistarono e dopo attenta ristrutturazione ne fecero una sfarzosa residenza alla quale unirono il giardino di Annalena, esempio di giardino neoclassico romantico.
Alla morte del Generale il palazzo andò in eredità al figlio il quale lo svuotò di ogni oggetto prezioso e lo rivendette alle Suore Francesi del Sacro Cuore, che fondarono una scuola convento per l’educazione delle signorine delle famiglie fiorentine più nobili e facoltose. La chiesa fu sconsacrata nel 1874 e demolita.
In vari passaggi successivi, il palazzo venne trasformato in una casa da gioco, in una lussuosa casa di tolleranza e poi in ricovero per giovani donne.
Nel 1919 il Palazzo di Annalena diventa “Pensione Annalena”, ed è punto di riferimento per viaggiatori e stranieri, per poeti e musicisti.
Anche Eugenio Montale vi soggiornò per lungo tempo negli anni trenta e ricordò la pensione nella sua poesia “Interno – Esterno”.
Negli anni quaranta fu Carlo Levi a soggiornare nella Pensione Annalena e proprio dalla sua stanza, affacciata sul romantico giardino di Annalena, scrisse parte del suo capolavoro “Cristo si è fermato a Eboli”.
Durante la seconda guerra mondiale oltre venticinque famiglie di ebrei e inglesi, partigiani e americani vennero registrati nella Pensione Annalena sotto false generalità per salvarli dalla persecuzione del regime fascista.
In tempi più recenti, artisti e attori in scena nel vicino Teatro Goldoni hanno soggiornato nella Pensione Annalena, tra questi si possono ricordare Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi.
Chi è il proprietario del palazzo oggi?
Non so risponderti.