Rientrò in Italia rinunciando alla cittadinanza americana per arruolarsi nel 1913 nel Regio Esercito come volontario. Nel 1916 fu nei Battaglioni della Morte del maggiore Cristoforo Baseggio, più volte ferito e decorato.
Ricoverato all’ospedale militare di Firenze è stato anche detenuto nel carcere delle Murate dallo stesso Mario Carità, ricoverato anche al Celio e recluso al Regina Coeli, (vi ricordate? Cerco sempre qualcosa che sia in relazione con la mia città Roma e la città adottiva Firenze), ma è stato anche ospite di altre varie città, ospedali e carceri italiane.
Reduce dal primo conflitto e riconosciuto come tale, fu aggredito a Firenze nel 1916 in nome degli ideali sovversivi contrari al capitalismo in piazza del Duomo. Assalito e malmenato dal gruppo di persone verrà ricoverato all’ospedale di Firenze. Aveva vent’anni, non aveva mai pensato di appartenere a un partito politico ma credette che quella folla era nemica del suo paese.
Intanto in quei giorni nasceva a Firenze un’associazione fiorentina per opera di Michele Terzaghi atta ad arginare questi sovversivi dal nome di “Alleanza di Difesa Cittadina”, fu l’inizio del fascismo toscano a cui Dumini aderì, tutto questo mentre a Milano Mussolini aveva dato vita ai Fasci.
Italiani di Combattimento, Dumini insieme ad altri dieci compagni, fondò invece quelli fiorentini. Il Fascio fiorentino si installò in una piccola stanza in via Cavour 48 nell’ottobre del 1919. Il Dumini divenne così uno squadrista e il fondatore del settimanale “Sassaiola Fiorentina”.
In seguito ad un mandato di cattura, si trasferì a Milano dove si legò a Cesare Rossi e Giovanni Marinelli, entrambi appartenenti al Comitato Centrale dei Fasci. Si trasferì dunque a Roma al seguito di Rossi segretario del primo ministro come aiutante. Qui strinse amicizia con Finzi, de Bono, Bastianini, Bianchi, Ciano e Balbo.
Secondo la sua versione, fu mandato in Francia come spia per indagare sugli omicidi di numerosi operai emigrati fascisti. Nelle sue memorie in queste uccisioni sarebbe stato coinvolto come mandante, il segretario del Partito Socialista Matteotti. Quando ormai da infiltrato era arrivato a scoprire la rete “sovversiva” Socialista, fu coinvolto in una sparatoria e ferito, dunque riportato in Italia.
Giovanni Marinelli segretario amministrativo del Partito Nazionale Fascista, si era convinto delle responsabilità di Matteotti (almeno questo è quanto riportato da Dumini) e, all’insaputa di Mussolini, organizzò il rapimento di Matteotti per obbligarlo a confessare e a fornire le prove delle sue responsabilità. I coinvolti nel rapimento furono sei: Marinelli Dumini, Volpi, Malacra, Poveromo e Viola. Mentre Dumini guidava l’auto dove viaggiava con gli altri, incrociarono casualmente Matteotti che attraversava la strada e lo obbligarono a salire in macchina, dopo averlo ripetutamente colpito con dei pugni.
Sempre secondo Dumini, come riportato sul suo libro 217 colpi”, il deputato morì in seguito ai colpi ricevuti a causa di un emottisi per una tubercolosi che aveva contratto. L’improvvisato commando si sbarazzò del corpo seppellendolo piuttosto maldestramente qualche decina di chilometri fuori Roma.
Il processo fu celebrato a Chieti nel 1926, il difensore di Dumini fu Roberto Farinacci, segretario del Partito Fascista.
Tutto il commando fu condannato a 6 anni per omicidio preterintenzionale. Circa vent’anni dopo la Suprema Cassazione condannava all’ergastolo per la premeditazione agli imputati superstiti.
Dopo il fattaccio Dumini si trasferì in Africa come colono, dove si cimentò in numerosi lavori, tra cui anche l’imprenditore, questo gli diede modo di conoscere e dare lavoro a molte persone, che per gratitudine lo aiutarono. Conosceva bene l’inglese e l’arabo, lingue che gli serviranno molto. Conobbe la conquista inglese e dopo aver assistito a saccheggi, soprusi e fucilazioni, organizzò una squadra di sovversivi per ostacolarli, provocò con il gruppo numerosi attentati a convogli, magazzini di materiali, mezzi e accampamenti, atti a favorire gli italiani e ovviamente a danneggiare gli Alleati.
Catturato fu fucilato e da qui il titolo del libro ’17 colpi’, che lo ferirono gravemente senza però ucciderlo.
Sei colpi di striscio al fianco destro, sei al sinistro, un braccio spezzato, la mascella spaccata. Una pallottola lo aveva colpito alla base del collo, una sotto l’orecchio sinistro che aveva danneggiato la quarta vertebra cervicale, sotto l’orecchio destro un altro buco, un miracolato.
La storia di quest’uomo seppur discutibile, è comunque avventurosa, cambia più volte nome, falsificando i propri documenti di continuo. Riesce più volte a mettersi al servizio degli Alleati, celando la sua vera identità e fingendo di non conoscere l’inglese per poter ascoltare tutte le loro conversazioni, da passare poi ai suoi patrioti.
Ritornato in Italia riuscirà a fare altrettanto, sempre eclissato tra gli Alleati, sfuggirà ai Partigiani e ai Badogliani. Si darà alla borsa nera, comprando e rivenendo pezzi di ricambio e armi acquistate ai partigiani che gli Alleati lanciavano dagli aerei, o dai tedeschi, per rivenderle alle Brigate Nere. Tutto questo fino a quando verrà riconosciuto e di nuovo incarcerato.
Nel 1947 viene nuovamente processato nonostante fossero passati 21 anni dal primo processo e condannato per omicidio premeditato. Il processo arriverà anche in Cassazione. Nel 1950 Dumini viene finalmente liberato, per poi essere arrestato di nuovo, questo perché mancava il consenso della famiglia Matteotti al suo rilascio. Solo grazie all’intercessione dell’avvocato Casimiro Wronowski, zio e tutore dei fratelli Matteotti che si schierò contro i suoi stessi congiunti per porre fine alla questione, Dumini fu finalmente libero. Ma ormai la moglie era morta, i figli cresciuti e gran parte della sua vita nonostante fosse stata avventurosa, passata.
Amerigo Dumini il fascista
Grazie, non conoscevo assoluamente questa storia.
Per maggiori informazioni leggere anche su Wikipedia!
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