Questo detto ha dato origine alla copertina del bellissimo libro di Franco Ciarleglio “Adagi con brio”.

Il formaggio derivava dal latte, da sempre considerato il simbolo del nutrimento primordiale. Fin dai tempi dei greci era valutato come l’immagine della cucina povera e veniva consumato più che altro delle persone umili e non erudite. Era utilizzato in prevalenza da pastori e contadini proprio per la sua capacità di lunga conservazione nelle dispense.
La pera è invece l’espressione dell’effimero in quanto delicata e facilmente deteriorabile. Inoltre la coltivazione di questo frutto era piuttosto costosa tanto che le pere divennero in breve tempo un dono prezioso che i nobili scambiavano tra di loro diventando un elemento essenziale nelle mense dei ricchi.
Nel tardo medioevo, con l’affermarsi del concetto del “buongusto”, secondo cui “piace ciò che è sano”, prevale l’ingegnoso proposito di unire i due sapori e quindi i due opposti stati sociali. Il formaggio alla fine viene nobilitato per farlo arrivare sulle tavole dei signori.
Ma il sapere, nel senso di “conoscere”, deve pur sempre rimanere un privilegio esclusivo della nobiltà e resta fondamentale negare l’acquisizione di nozioni a chi non è socialmente degno.
E’ proprio in questo momento storico che in Toscana nasce per burla il proverbio “al contadino non far sapere quant’è buono il cacio con le pere” che però, con la proverbiale e irriverente ironia tipica di questo popolo, sottintende il seguito dell’adagio: “ma il contadino che non era coglione, lo sapeva prima del padrone”!
(da “ADAGI CON BRIO” di Franco Ciarleglio, Sarnus Editore)

Al contadino non far sapere quanto è buono il cacio con le pere.
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