Il titolo di questo articolo richiama, volutamente, quello di un famoso film musicale americano degli anni ‘50 ed in effetti sempre di matrimoni si parla; ma quel che avvenne il 24 febbraio 1767 – cioè esattamente 253 anni fa – a Firenze fu un evento unico e, crediamo, irripetibile nella storia della città.
Tutto prese avvio circa un mese prima, il 19 gennaio 1767, con la nascita della principessina Maria Teresa, figlia del Granduca Pietro Leopoldo e della Granduchessa S.A.R. Maria Luisa di Borbone (detta anche Maria Ludovica). Il lieto evento fu celebrato con vari festeggiamenti sia sacri che profani, oltre che da una salva sparata dal cannone della Fortezza da Basso; inoltre i Ciambellani di Palazzo Pitti ebbero un’idea ancora più “esplosiva”: fu deciso di assegnare a cento fanciulle povere della città una dote, sotto una precisa condizione: le ragazze avrebbero dovuto, alla data stabilita, recarsi tutte assieme in Duomo con i loro promessi sposi affinché l’arcivescovo potesse unire le cento coppie in matrimonio. Tale data fu individuata, appunto, nel martedì 24 febbraio di quello stesso anno.
Dopo aver ricevuto, ciascuna nella propria parrocchia, l’anello nuziale le sposine si riunirono nello spedale di S. Paolo, da dove alle 10 in punto uscirono per radunarsi nella antistante P.za S. Maria Novella. Erano tutte vestite con un lo stesso abito, stessa stoffa, stesso modello, confezionato con l’aiuto di varie gentildonne fiorentine.
Dai chiostri di S. Maria Novella, sull’altro lato della piazza, uscirono invece i cento giovani sposi, anch’essi vestiti tutti uguali. Dalla piazza partì dunque il gioioso corteo, con in testa i Trombettieri del comune con lo stendardo dello Spedale di S. Paolo ed a seguire gli sposi, accompagnati da quattro cavalieri. Giunti in Duomo attraverso la gran folla di fiorentini radunatasi per l’occasione, si accomodarono nella chiesa dove li attendevano i Ciambellani di corte ed un gran numero di nobiluomini e nobildonne, che per l’occasione fecero a gara nello sfoggio di gioie, trine e “galanterie”.
Alle ore 11 in punto giunse, in rappresentanza della Granduchessa Maria Luisa, la Sig.ra Vittoria Carducci, dama di Corte, che “indossava un magnifico abito di etichetta con un manto finissimo di velluto splendente di brillanti”. Il conte Ruberto Pandolfini, dandole il braccio, l’accompagnò fino all’inginocchiatoio coperto di preziosi arazzi appositamente approntato alla destra dell’ altare. Finalmente l’arcivescovo, dopo aver cantato assieme a tutto il capitolo della cattedrale ed al clero fiorentino la messa solenne, coronò il sogno d’amore delle cento coppie concludendo la cerimonia con un grandioso “Te Deum”. Possiamo immaginare l’emozione e lo stupore delle cento coppie di sposi, tutte di umilissime origini, nel ritrovarsi protagoniste di una cerimonia tanto solenne e prestigiosa!
Ma i festeggiamenti non si esaurirono con la benedizione nuziale: scortato dalle truppe granducali, il corteo si diresse verso piazza della Signoria, dove nel salone de’ Cinquecento di Palazzo Vecchio era stato approntato un grandioso banchetto in onore degli sposi e dei convenuti. Finito il pranzo fu consegnata a ciascuna coppia la dote, che consisteva in una certo numero di monete da dieci paoli ciascuna, dette anche “leopoldi” (dall’effige del granduca Leopoldo sul recto), contenute in una scarsella di seta recante ricamato in oro il motto biblico “Dives et pauper obviaverunt sibi” (“Il ricco e il povero si incontrano”, Proverbia, 22).
Dopodiché iniziarono le danze che si protrassero fino alle 5 del mattino seguente, come ci riportano con dovizia di particolari le cronache del tempo! I granduchi assistevano da un palco appositamente allestito nel lato sud del salone, mentre sul lato opposto si trovava la grandiosa orchestra di ben centoquaranta elementi. Il tutto, allestito dall’architetto di corte Zanobi del Rosso, era illuminato da “almeno duemila candelotti (che) ardevano accesi, che, uniti a dugentocinquanta torce alla veneziana, che bruciavano sopra alle tre grandissime lumiere, rendevano tanta luce che superava quella del mezzogiorno”.
Verso le sei a mezzo del pomeriggio giunsero le maschere: i nobili ed i notabili della città ovviamente fecero a gara, come usava al tempo, a chi indossava la maschera più spettacolare. I cronisti del tempo non mancarono di annotare che “In tutto il corso della festa l’innumerabil popolo fu sempre servito di acque fresche e calde in diverse maniere acconce, e verso le undici della sera furono a chiunque dispensate ottime cioccolate con biscotti e liquori di ogni sorta fino alle ore 5 del mattino seguente in cui ebbe termine questo strepitosissimo festino”.
Insomma si trattò di un evento memorabile ed indimenticabile per i protagonisti. Spesso si usa dire, alimentando un datato luogo comune, che il giorno delle nozze dovrebbe essere, soprattutto per la sposa, il più bello ed indimenticabile della vita… Di certo per le cento fanciulle di umili origini dovette essere davvero un giorno speciale ed indimenticabile, immerse nello sfarzo principesco della corte granducale. Peccato non esistano, a quanto ne so, altre documentazioni dell’evento, oltre a quelle scritte delle cronache (i primi esperimenti fotografici risalgono ad una cinquantina di anni dopo).